potrei parlare di tante cose, di un tizio che l'altro giorno doveva vendermi un divano e che più che altro si mostrava preoccupato del fatto che qualcuno potesse mettersi fuori dal suo negozio fino a che non fossero state soddisfatte le proprie richieste (- vedi, se io ti faccio un divano di merda, tu poi ti piazzi lì fuori fintanto che non te ne faccio uno come si deve -, oppure - vedi, se io te lo ricopro con un tessuto scadente, tu poi ti piazzi lì fuori fintanto che non te lo cambio - e così via).
potrei parlare di quel tale a cui cha doveva vendere della roba, che ci ha confessato di gradire particolarmente il fatto di avere il pisello duro mentre si fa tagliare i capelli.
potrei raccontare della mia draghina e di quegli stronzi che le hanno ripulito il portafoglio in un "seminterrato" di monza.
potrei parlare del fatto che c'è ancora gegia in TV e, dopo tutti questi anni, nulla sembra essere cambiato.
potrei ma è da un pezzo che voglio spendere due parole su un gruppo emiliano di recente formazione, gli offlaga disco pax.
come spesso accade, gli odp arrivano alle mie orecchie grazie a d. che pazientemente, di tanto in tanto, mi allunga qualche giga di "roba nuova, perlopiù underground, mi sa che potrebbe piacerti".
il singolo, robespierre, tratto dal loro primo album in studio, socialismo tascabile, prove tecniche di trasmissione (santeria, 2005) può essere considerato il manifesto del gruppo, una vera e propria dichiarazione d'intenti: una base new wave anni '80 bella tirata su cui max collini declama il proprio credo (quello di un'intera generazione di disillusi), il proprio retaggio culturale che affonda le radici nel clima di piombo degli anni '70, tra l'eco dei sandinisti in nicaragua e la rivoluzione cubana celebrata dagli ori olimpici di juantorena, passando per simboli di culto dell'epoca, come la prinz e il toblerone ("qualcuno sa perchè", spiegazione che forse è da ricercarsi tra le righe amare di un altro brano, non incluso nell'album, cioccolato IACP, suonato dal vivo di recente e disponibile come bootleg in rete), per arrivare ad aspetti più intimi e privati (la prima sega). tutto enunciato (bada, non cantanto) con forza e mestiere, con quell'accento inconfondibile che sa di tortellini e lambrusco.
la narrazione è sincopata, coinvolgente, anche negli episodi meno ispirati dal punto di vista melodico (il pastiche industrial di tono metallico standard, superbo ritratto dell'alternativo dei miei coglioni, in cui il parlato di collini è stato, a mio avviso, sepolto in fase di missaggio).
ogni pezzo è un ritratto di quell'italia destinata ad essere un grande paese e finita per essere quello che è (trovo difficile che fra trent'anni qualcuno possa scrivere dell'italia di oggi con lo stesso fervore e la stessa intensità).
gli odp mi piacciono anche se tutto farebbe presupporre il contrario. d'accordo, fatico ancora a sopportare i numerosi attacchi di batteria elettronica talmente scarna da portare alla memoria certi motivetti per videogame su commodore 64. e lo ammetto, forse certi punti di tatranky e khmer rossa mi sono ancora leggermente indigesti ma non ci sono palle, questo è un gruppo da *prendere o lasciare*. o piacciono o fanno cagare. e, com'è come non è, al quippresente piacciono e non poco.
è in lavorazione il secondo disco. non credo che la formula possa garantire più di qualche altro buon episodio.
sento un frastuono rimbombi lontana in modo imperfetto
hai lasciato
piazze piene urne vuote tremori gentili tracce sottili
tracce profonde sugli zerbini dei miei pianerottoli
mancano
le tue parole sul niente
il calore bagnato e sporco che avevo
il dispiacermi di non bastare
siamo rimasti a guardare un desiderio qualche volta noioso
e non sarai mai
un'emozione da poco
(odp, "enver")
lunedì 24 settembre 2007
[+/-] |
(prove tecniche di trasmissione) |
sabato 15 settembre 2007
[+/-] |
blow-up (aka 'pornografia') |
questa sera mi trovavo in una nota multisala dell'hinterland milanese. curiosavo con cha nella vetrina di un negozio di gadgets cinematografici, in attesa di poter accedere alla sala per assistere al film dei simpson.
tra il casco di darth vader e l'action figure di jack sparrow, c'era una teca contenente il modellino scala 1:1000 delle twin towers (vedi immagine intera).
il modello è venduto in pezzi da assemblare. cha ha fatto una battuta riguardo la scatola piena di macerie e polvere.
ricostruisci le torri gemelle. oddio, un po' ci sono rimasto. non so cosa fosse peggio, se il plastico o la macabra action figure di john lennon nel suo periodo newyorkese (della cui scatola è visibile un particolare nella foto, a sinistra, dietro la teca col world trade center).
nobody told me there'd be days like these... strange days indeed.
il film sui simpson è stato uno spasso, forse anche perchè le aspettative erano basse. dopo aver visto qualcuno degli ultimi episodi, pensavo che ormai la banda di groening fosse alla canna del gas. mi sono dovuto ricredere. sketch azzeccati, quasi novanta minuti filati senza momenti morti.
ma ancora una volta, il meglio l'ha dato il pubblico.
poco prima che partisse il film, col buio in sala, un pirla seduto nelle prime file ha gridato: «xxx culo, culo chi non lo dice!». quel CULO gridato dalla sala mi risuona ancora nelle orecchie. non ho avuto la prontezza di unirmi al boato corale. è stato lì che ho realizzato come i miei anni da liceale siano irrimediabilmente andati.
e per finire, la ciliegina: a un certo punto sullo schermo è apparsa la scritta blow-up springfield, far saltare in aria springfield. ebbene, la tipa che mi sedeva accanto ha chiesto al suo ragazzo di tradurle la frase. quel pipparolo, che l'inglese l'ha imparato bene dai film porno, ci ha pensato su e poi ha sparato: «vuol dire risucchiare springfield».
*old pig*!